venerdì 13 febbraio 2015

Le ville di Bali



La villa esotica ai tropici. Un sogno per molti. Una realtà per pochi. E' vero!  Voglio sperare, però, che questa distinzione tra due umanità, particolarmente in voga oggi a causa della crisi in atto, non richiami unicamente il pensiero della disponibilità più o meno di denaro per potersi permettere tali lussi, ma piuttosto quello della limitazione che molti impongono a se stessi della forza di realizzazione del proprio sogno. Detto questo, veniamo a noi.

Tra il 2007 e il 2009 tentai, con la mia compagna, l'esperimento di sistemarmi a Bali. Era bello vivere in quell'isola e tutto aveva il profumo dei fiori e dell'incenso arso sulle offertine sistemate ovunque, mentre si era riscaldati dai sorrisi dei Balinesi e dai trenta gradi costanti del giorno. Erano anni che frequentavo Bali; i miei viaggi erano più o meno annuali e incentrati sull'ashram di Ratu Bagus, lo sciamano che mi ha insegnato a sentire l'energia.

Bali era diventata nel tempo la mia seconda patria, che offriva un ambiente multiculturale estremamente vario ed internazionale pur conservando quel carattere di primitività che salvaguardava il contatto umano e la ricerca di ispirazione artistica e contemplazione meditativa. Fu così che cominciai presto ad esercitare il mestiere, girando vari documentari sul maestro balinese e poi, approfittando del rapporto aperto che avevo con Rai Educational in Italia, avevo concordato vari altri documentari e servizi sull'arte e la cultura balinese, in particolare sul famoso "Bali Style".




Il Bali Style è quell'insieme di elementi che configurano una vita a contatto con la natura, in estremo relax, gioendo della bellezza del panorama, dei fiori, della fragranza dei profumi, dei massaggi profondi e i bagni alle erbe in questi ambienti onirici chiamati "spa", dell'utilizzo integrale dell'elemento etnico nell'arredamento e del ""modern design" ispirato ad esso, che lo ridisegna per un migliore fruizione finalizzata all'uomo occidentale, ormai globale. Anche l'industriale indonesiano di successo, che vive nella capitale-metropoli Jakarta, è da considerare occidentale e spesso si concede periodi brevi di riposo in una delle spettacolari ville, di cui quasi tutta l'isola è ormai costellata.


Il boom edilizio a Bali è scoppiato proprio negli ultimi anni che la frequentavo. Lo racconto chiaramente in "Made in Italy in Bali", dove tra l'altro si scopre che la comunità italiana a Bali è la più numerosa ed era costituita a quei tempi, parliamo di circa sei, sette anni fa, soprattutto di creativi. Dietro le cose più belle che si incontravano girando per l'isola, esclusi i templi autoctoni e l'artigianato locale ovviamente (parlo degli alberghi, i resorts, le ville, i ristoranti, i clubs, i negozi di design e di moda), quasi sempre c'era un Italiano. La genialità creativa degli Italiani si è trovata molto bene a collaborare con un popolo di pari dignità artistica e tendente alla socievolezza quotidiana condivisa in strada.

Inoltre Bali rappresentava per molti professionisti italiani un modo per sparire dalla scena italiana, soprattutto da un punto di vista fiscale. Uno degli studi più prestigiosi, costituito da due architetti italiani, di cui non voglio fare i nomi, che stavano avendo un successo enorme, non ne vollero proprio sapere di essere intervistati, sapendo che il documentario sarebbe stato diffuso dalla Rai. Fu impossibile anche usare le immagini che avevo girato nel resort di lusso di Bulgari. Diverse migliaia di euro a notte. Dopo settimane di trattative non mi concessero l'autorizzazione ad usare né le immagini, né l'intervista allo chef italiano.


Personalmente trovavo questo fenomeno della creatività italiana a Bali assai interessante, ma con il tempo l'atmosfera economica dell'isola si è andata sempre più addensando, diventando molto pesante. Si cominciava a parlare da parte degli espatriati italioti sempre più spesso di business, business, business... mentre i balinesi ti guardavano ormai solo come un bancomat ambulante. Il turismo intanto continuava a crescere a ritmo incalzante, soprattutto quello australiano e giapponese. La triste memoria degli attentati dinamitardi del 2002 e 2005, che avevano causato l'uccisione brutale e il ferimento di centinaia di persone, tra turisti e Balinesi,  andava scemando. Poi c'è stato un momento, nell'anno 2009, tra maggio e novembre, in cui abbiamo percepito nettamente l'accelerazione di questo trend che si traduceva in un vortice frenetico inarrestabile, fino a superare il punto di non ritorno.

Lo si vedeva espresso nel traffico sempre più caotico intorno al centro produttivo dell'isola, dove sorge la capitale Denpasar, l'aeroporto e i quartieri balneari di Kuta, Seminjak e Jimbaran. Lo si percepiva nella febbre che aveva colpito i balinesi di possedere cellulari e automobili sempre all'ultimo grido; lo si subiva nei prezzi che aumentavano di giorno in giorno, compresi quelli necessari al rinnovo del visto di soggiorno. E così effettivamente alla fine di quell'anno ormai sentivamo che l'energia originaria di Bali, quella che avevamo vissuta negli ultimi dieci anni, da quando la frequentavamo, era praticamente sparita. Al suo posto si andava configurando qualcos'altro che non ci piaceva affatto e per questo alla fine del 2009 dichiarammo chiuso l'esperimento e ritornammo in Italia, in un angolo bucolico dove ancora si respira qualcosa di "balinese".


In ogni caso, cercando fonti di approvvigionamento economico autoctone, ancora nel 2008 stringevo rapporti con i responsabili di alcuni società immobiliari che avevano in quel momento tutto l'interesse a pubblicizzare l'offerta della nuova edilizia ispirata al Bali Style, promuovendo world wide, anche con qualche sponsorizzazione, la realizzazione di video, foto e articoli su riviste.

Era il momento, "guarda caso", in cui a Ubud, la deliziosa cittadina dell'interno, ritrovo di artisti provenienti da tutto il mondo, si stavano girando le riprese dell'avventura balinese della protagonista del best-seller "Eat, Pray, Love", con Julia Roberts. Un film che voleva parlare della ricerca spirituale di questa donna, che toccava l'Italia, Bali e l'India, per gustare le gioie della vita attraverso il cibo, la preghiera e l'amore, ma di cui fui molto deluso quando lo vidi, per l'assoluta mancanza d'anima, a dispetto del solito budget da capogiro a disposizione. Un ottimo esempio delle reali intenzioni di chi l'aveva voluto e prodotto.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mangia,_prega,_ama_-_Una_donna_cerca_la_felicit%C3%A0

La speculazione edilizia locale andava così a braccetto con la finanza internazionale, che non si faceva mancare niente in quanto a promozione commerciale, scomodando addirittura Hollywood nella sua pianificazione complessa, richiesta da una Gentrificazione in grande stile delle, una volta bellissime, risaie intorno a Ubud.


La strategia economica della "gentrification" (dall'inglese "gentry", nobiltà) è la tecnica operante in tutto il mondo, ma i migliori esempi li abbiamo nelle grandi capitali culturali, grazie alla quale in un quartiere di origine popolare, dove la vita era ancora a buon mercato, vengono inseriti pian piano, con politiche commerciali appropriate, prima gli studenti, poi gli artisti, poi i professionisti, fino a trasformare il volto e il tessuto cittadino in maniera tale da far levitare i prezzi di tutti i generi ed attrarre alla fine solo l'alta borghesia e il turismo internazionale. In questo modo i vecchi abitanti sono costretti a cedere le proprietà e trasferirsi altrove. In genere si tratta di una dinamica che prende del tempo per accadere,  lo spazio di una o due generazioni, ma la velocità con cui si è verificata a Bali ha dello sconvolgente, se pensiamo che solo fino alla fine degli anni Ottanta del Novecento, a Ubud non c'era nemmeno l'energia elettrica!

Inoltre qualcosa mi diceva che questa strategia complessa era già iniziata e si era avvalsa anche della crisi conseguente quelle bombe, quando con l'interruzione momentaneo del flusso turistico molte attività commerciali intraprese da famiglie balinesi fallirono, e furono costrette a vendere a prezzi di realizzo al capitale straniero. Un ulteriore elemento che stava ad indicare  qualcosa di molto sporco e che non quadrava perfettamente in questa globalizzazione selvaggia di quell'angolo di paradiso.

Insomma, ritornando a noi, fu così che ci fu concesso di girare in alcune delle più prestigiose ville balinesi per esporle nel documentario citato che stavamo realizzando e poi ci fu chiesto una serie di piccoli video finalizzati alla distribuzione pubblicitaria in rete. Pensai di accompagnare le immagini a delle scelte di musica classica, abbastanza famose sia per essere gustate immediatamente che per nobilitare questi esempi architettonici di gran pregio, sebbene ognuno avesse un proprio stile particolare, solo in minima parte riconducibile a quello tradizionale balinese.


La serie è costituita da dodici brevi video, intitolati con i nomi delle ville rappresentate:
  1. villa Akara
  2. villa Bali Bali 1
  3. villa Bali Bali 2
  4. villa De Toye
  5. villa Dolphin
  6. villa Pantai lima 1
  7. villa Pantai lima 2
  8. villa Sarsana
  9. villa Sensational view
  10. villa Shankara
  11. villa Tirta Naga
  12. villa Ziva

Nessun commento:

Posta un commento