sabato 2 maggio 2015

Fernanda Pivano - intervista


Parlare di Fernanda Pivano da parte mia risulta abbastanza superfluo per quanta fama e conoscenza pubblica si ha dell'illustre ed appassionata traduttrice e studiosa di letteratura americana.

Forse più interessante è rievocare brevemente l'incontro che ebbi con lei in occasione di questa intervista che condussi all'inizio del 1987, quando ero impegnato alla realizzazione del programma di Rai RadioDue "Lo specchio del cielo", consistente in una serie di interviste a personaggi emblematici della cultura italiana, da me scelti per l'importanza che ebbero per la mia formazione culturale.

Ne ho già accennato a proposito degli altri intervistati raccolti in questo blog sotto il tag "Lo specchio del cielo".

All'epoca Fernanda Pivano per me rappresentava una sorta di mito vivente, essendo il suo nome associato ai migliori esemplari della letteratura della Beat Generation, di cui ero un entusiasta lettore. Appartengo alla generazione che non visse direttamente la stagione sessantottina, ma ne raccolse i sorridenti cascami durante i tardi anni Settanta del Novecento, quando si stavano già presentando le prime nuvole oscure del terrorismo nostrano, che avrebbero poi costituito, all'insaputa di tutti, gli esperimenti italioti di quel che sarebbe diventato il terrorismo internazionale dei primi anni del Duemila.


Fernanda Pivano con Ezra Pound e Allen Ginsberg
Oltre alle canzoni di Bob Dylan e ai classici della letteratura novecentesca americana, di cui l'Antologia di Spoon River per me era l'esempio maggiore, il lavoro di Fernanda Pivano mi accompagnava ogni volta mi avvicinavo a quegli autori beat, come Allen Ginsberg o Jack Kerouac, di cui ho già parlato, a cui arrivavo in genere attraverso l'interessamento del pensiero orientale, che grande influenza ha avuto sulle istanze libertarie ed utopiste di quella generazione.

Il giorno in cui la incontrai iniziò subito bene quando scoprii che abitava praticamente nella stessa zona del centro di Roma in cui io vivevo, la Trastevere di via della Lungara; proprio accanto all'Arco di Settimiano, al piano terra di un condominio che aveva uno di quei bellissimi cortili interni, così ben isolati acusticamente dal frastuono cittadino, che consentono ancora l'ascolto del canto degli uccelli e del suono della cascatella d'acqua della fontana.

Mi accorsi subito che Fernanda non era un personaggio costruito. Al contrario, era del tutto naif. Pura, onesta e sincera nei confronti dell'amore per una nuova società, il suo utopismo si trovò subito all'unisono col mio. Invitandomi immediatamente a darci del tu, mi trovai completamente a mio agio ad affrontare tutti quegli aspetti della cultura del '68 che nascondevano per me ancora delle perplessità. Prima fra tutte quella della repentina e progressiva eclissi subita dai temi della ricerca spirituale affrontati da quegli autori, in primis da Timothy Leary, vera icona mondiale di un certo modo di pensare.
con Hemingway
Lei confermò puntualmente i miei sospetti di natura cospiratoria e l'acme dell'incontrò lo ebbi quando si mise addirittura a piangere per la commozione, rimembrando le emozioni suscitate dal contatto avuto con l'India. E non fu l'unico punto in cui comparvero le lagrime. Il ricordo di Cesare Pavese fu un altro di questi momenti.

L'intervista riuscì abbastanza bene a restituirne le suggestioni donate da questa donna che, come lei stessa dichiara apertamente parlando di Bob Dylan, non era ancora guarita, e chiedendo che le sue parole fossero accompagnate dalle prime canzoni del mitico cantautore.

Tale fu il trasporto di quest'incontro che superai abbondantemente l'ora di registrato che in genere raccoglievo per le interviste del programma che stavo curando. Buona parte quindi la dovetti tagliare. Oggi, in questa sede, posso permettermi di presentarla pressoché integrale.

Due note di servizio.
La prima: per ovvie ragioni, mi era sembrato opportuno non tagliare gli inserti musicali di Bob Dylan nel pubblicare l'intervista su YouTube, ma il risultato è che il file è stato subito bloccato per violazione del copyright su tutti i territori internazionali. A dispetto di molti altri esempi in cui una certa violazione viene tollerata, compensandola con gli annunci pubblicitari, la presenza di uno dei più grandi poeti americani del Novecento, viene attentamente monitorata dalla dittatura culturale delle Majors discografiche.

La seconda, che cito ogni volta, è l'insulsa politica editoriale della Rai che, senza alcun apparente motivo, ripresenta sempre e solo alcuni estratti delle interviste de "Lo specchio del cielo" e in più associate nello stesso file ad altra intervista che  non ha alcun attinenza con la prima, se non quella banale e inutile del fatto che, in questo caso, siano due donne a parlare. In ogni caso, per correttezza, ne inserisco qui il link relativo.

Nessun commento:

Posta un commento