Prima di fare documentari ho lavorato presso Radio Rai,
i tre canali ufficiali della radio nazionale italiana. Durante oltre
quindici anni ho ricoperto molti ruoli, iniziando come conduttore,
poi attore, programmista, autore e infine regista. E' alla radio che ho
imparato la regia, il concetto della regia, cioè la messa in scena in un
determinato spazio e per un determinato tempo qualcosa che devo
comunicare.
Sembra strano ma quando la radio si fa per bene, essa si rivela essere un bellissimo strumento di comunicazione, basato sul suono e dove le immagini che intervengono sono quelle che l'ascoltatore può immaginare attraverso i suoni che trasmetti. A questo proposito una volta un regista della BBC mi diede questa definizione: la radio è una forma estremamente sofisticata... di televisione.
La radio di questo tipo non si fa più spesso; quella radio cioè dove suoni, parole, rumori, musica, intervengono tutti insieme per creare la comunicazione. Oggi è diventata più un mezzo di sola informazione che in genere è brevissima e passa solo attraverso la parola, come i giornali radio e le informazioni sul tempo e il traffico. Oppure è utilizzata per trasmettere musica.
Insomma la radio è stata la mia maestra e qui ho imparato i concetti basilari della regia che valgono anche nel mezzo visivo, come la televisione e il cinema: la definizione degli spazi, la confezione del programma, il montaggio delle interviste, il ritmo, il bilanciamento tra parole e musica, le suggestioni ambientali sonore.
Un carattere che mi sono portato dietro dalla radio anche nei documentari televisivi è l'uso della parola, quella delle interviste e delle testimonianze verbali. In genere i miei documentari sono costruiti intorno al valore della parola, prima al suo suono, all'umanità che esiste dietro una voce, e poi al suo significato nel discorso. Non mi piace la voce fuori campo di un'anonimo speaker e raramente inserisco le mie domande. Io come autore non compaio mai, mi limito a restare fuori dalla scena. Poi il montaggio fa il resto, attraverso il ritmo creato dalla musica che scelgo.
La musica è sempre importante e non è mai casuale. Infatti è la musica che crea il tappeto animico in cui inserire poi le parole.
Sembra strano ma quando la radio si fa per bene, essa si rivela essere un bellissimo strumento di comunicazione, basato sul suono e dove le immagini che intervengono sono quelle che l'ascoltatore può immaginare attraverso i suoni che trasmetti. A questo proposito una volta un regista della BBC mi diede questa definizione: la radio è una forma estremamente sofisticata... di televisione.
La radio di questo tipo non si fa più spesso; quella radio cioè dove suoni, parole, rumori, musica, intervengono tutti insieme per creare la comunicazione. Oggi è diventata più un mezzo di sola informazione che in genere è brevissima e passa solo attraverso la parola, come i giornali radio e le informazioni sul tempo e il traffico. Oppure è utilizzata per trasmettere musica.
Insomma la radio è stata la mia maestra e qui ho imparato i concetti basilari della regia che valgono anche nel mezzo visivo, come la televisione e il cinema: la definizione degli spazi, la confezione del programma, il montaggio delle interviste, il ritmo, il bilanciamento tra parole e musica, le suggestioni ambientali sonore.
Un carattere che mi sono portato dietro dalla radio anche nei documentari televisivi è l'uso della parola, quella delle interviste e delle testimonianze verbali. In genere i miei documentari sono costruiti intorno al valore della parola, prima al suo suono, all'umanità che esiste dietro una voce, e poi al suo significato nel discorso. Non mi piace la voce fuori campo di un'anonimo speaker e raramente inserisco le mie domande. Io come autore non compaio mai, mi limito a restare fuori dalla scena. Poi il montaggio fa il resto, attraverso il ritmo creato dalla musica che scelgo.
La musica è sempre importante e non è mai casuale. Infatti è la musica che crea il tappeto animico in cui inserire poi le parole.
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