Rivedendo il documentario "Il business dell'ozio", dedicato al Festival di Ravello, che ho realizzato nel 2007 con la produzione di RaiEdu destinato al programma "Magazzini Einstein", la prima cosa che mi salta all'occhio è di non riconoscerlo come un mio prodotto.
Accedeva sempre, ogni volta che lavoravo per una produzione Rai, che il sistema e la catena produttiva fossero così cristallizzati da esigenze formali ed estetiche, proprie di un prodotto firmato Rai, nonché da abitudini consolidate degli operatori coinvolti, dalla consulenza redazionale fino alla fase finale del montaggio e post-produzione, che difficilmente riuscivo ad imprimere un carattere di originalità legato ad un mio gusto personale.
Poi c'erano i tempi di realizzazione, sempre abbastanza veloci da impedire una profonda metabolizzazione della ricerca, dello studio e del lavoro da svolgere. Così ciò che si produceva alla fine era sempre un'opera dignitosa, professionale, ma mai veramente riconoscibile a livello artistico.
Non vuole essere una critica negativa la mia, soltanto la constatazione di un fatto che accade quando si lavora in una grande azienda che opera secondo modelli più o meno standardizzati. Certamente il fatto di metterlo in evidenza in queste righe sta solo ad indicare il livello di coinvolgimento intellettuale nella realizzazione personale del lavoro.
Appunto era un lavoro, solo un lavoro, da svolgere, cercando di rispettare i criteri e i modelli dettati dalla situazione e mettendo da parte quelle velleità espressive che posso soddisfare solo quando gestisco in prima persona o riesco a condizionare la produzione, conducendola verso un discorso più personale di visione del tema da svolgere.
Tutto ciò è assolutamente normale. Meno normale è che opere più individuali molto difficilmente trovano sbocco in una distribuzione televisiva o tramite altri canali. In altre parole, praticamente non esiste un mercato del documentario d'autore. Questa sì, che è una critica, ma l'ho già scritto molte altre volte. Anzi è il leitmotiv di ogni documentarista italiano.
Nella fattispecie in questo lavoro dedicato al Festival di Ravello, il titolo "Il business dell'ozio" è arrivato dalle stimolanti conversazioni con Domenico De Masi, sociologo di fama e all'epoca presidente della Fondazione Ravello. Nella splendida cornice di questo paesino d'arte della Costiera Amalfitana, con la sua diplomatica simpatia, De Masi ci fece da cicerone, mostrandoci le meraviglie dei luoghi del festival e presentandoci tutti i suoi collaboratori e artisti che intervistammo. Inoltre la direzione del festival ci mise a disposizione un'ampia selezione degli spettacoli svolti precedentemente.
Avevo già incontrato il prof. De Masi alcuni anni prima, in occasione della realizzazione de "La Luce dell'Invisibile", documentario su Mimmo Jodice, di cui è grande amico e conterraneo.
All'epoca l'Auditorium Oscar Niemeyer, fortemente voluto da De Masi, era già stato progettato ma non ancora edificato. Durante le riprese però vedemmo il sito dove sarebbe sorto ed era semplicemente spettacolare, grazie allo splendido panorama di cui poteva godere. Negli anni seguenti l'Auditorium è stato al centro di forti polemiche, che lo caratterizzavano come abuso edilizio e ne hanno determinato addirittura la chiusura per qualche tempo.
Per altre possibili considerazione sul Festival di Ravello rimando a ciò che già scrissi in questo blog riguardo i festival della cultura e il rilievo che hanno avuto in merito al flusso turistico e ai loro cascami economici. Certo, su Ravello c'è da aggiungere che è stato un antesignano nel suo genere, visto che si tratta di uno dei più antichi festival culturali italiani, risalente addirittura al 1953.
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