Sono particolarmente legato a Fausto Antonini e non solo perché era una persona molto bella, profondamente empatico con l'altro, grande conoscitore dell'animo umano, intellettualmente onestissimo, esempio magnifico di coerenza tra vita e pensiero. Sono particolarmente legato a Fausto Antonini perché, grazie alla sua presenza su questa terra, quando avevo vent'anni, mi ha aiutato a fare una scelta di vita molto difficile e sofferta, quella di cambiare facoltà universitaria e passare da Ingegneria, per cui avevo già superato alcuni esami, a Filosofia.
Sono due strade di studio che aprono prospettive umane, sociali e professionali completamente differenti. Non c'è bisogno di spiegarne il motivo. Fin da piccolo ero stato educato in famiglia con l'aspettativa che diventassi ingegnere e, in verità, ero anche portato: bravo in matematica al liceo scientifico e grande passione per l'elettronica, che negli anni '70 stava rivelando le sue enormi potenzialità con l'invenzione dei transistors e dei circuiti integrati.
Sta di fatto che quando cominciai ad inoltrarmi seriamente in quel corso di studi, mi accorsi di avere interrogativi esistenziali così pressanti che agognavo in tutti i modi di affrontarli. Le lunghe ore di studio sui libri di fisica, chimica, analisi matematica, non facevano altro che acuire questa urgenza e farmi considerare la prospettiva futura di diventare un anonimo tecnico all'interno di un gigantesco meccanismo industriale come uno spettro orribile.
Ricordo che alternavo lo studio universitario con la lettura di libri di filosofia indiana, teologia cristiana e psicoanalisi. Ero anche un entusiasta ascoltatore di un programma che andava in onda su una tv locale in cui questo professore di antropologia filosofica, Fausto Antonini, parlava al telefono con gli ascoltatori con una schiettezza e profondità veramente suggestiva. Il mio ero un ascolto attento, analitico, registravo tutte le puntate e me le riascoltavo più volte finché non le avevo assorbite bene. Probabilmente ancora conservo da qualche parte le scatole piene di quelle cassette.
Al culmine della crisi, durante il secondo anno di Ingegneria, cominciai a marinare le lezioni e a rifugiarmi in Via Magenta 5, Roma, dov'era l'aula in cui Fausto Antonini teneva le sue lezioni ad una platea nella quale solo una piccola parte erano studenti. La maggioranza era gente normale, che ritagliava spazi sottratti al lavoro o alle cure familiari per abbeverarsi alla sua saggezza sagace, ironica e sempre molto coinvolgente.
Per farla breve, in capo a qualche mese, arrivai finalmente alla decisione di cambiare il mio destino, accettando anche la possibilità un giorno di andare a finire sotto i ponti, come accoratamente mi avvertiva mio padre.
Filosofo sui generis, emarginato dalla cultura ufficiale di allora, mopolizzata dai marxisti da una parte e dai cattolici dall'altra, Fausto Antonini, che aborriva qualsiasi genere di morale dogmatica, aveva coniugato da sempre la psicologia e la psicoanalisi con la filosofia. Egli sentiva che presto quelle due morali si sarebbero alleate, per creare quel grande
super-io catto-comunista che ci avrebbe stritolati nelle maglie della repressione della vita.
I suoi grandi cavalli di battaglia teorici erano "il potere" e le sue mille sfaccettature, la repressione sessuale, il capro espiatorio, la ricerca della felicità, che lui sapeva inserire e descrivere con quella sua vitalità ed ironia, in qualsiasi dialettica intraprendeva, da quella cattedratica o quella nata dalla conversazione estemporanea con un ascoltatore al telefono. C'è un suo vecchio allievo, Sergio Rizzitiello, che nel suo blog ha dedicato un
omaggio a Fausto Antonini, riassumendone sinteticamente il pensiero e la bibliografia. Non ho trovato altri riferimenti a lui su Internet. Per paura che questo unico contributo scompaia, lo inserisco anche qui in fondo al post.
Io sentii per la prima volta la voce di Fausto Antonini, che ero ancora un bambino, alla fine degli anni Sessanta, nel programma di Radio Rai "
Chiamate Roma 3131", ascoltato in casa di mattina da mia madre; poi lo riscoprii durante le sue dirette su TVR Voxon, la tv locale romana di quando ero adolescente, di cui parlavo sopra, alla fine andai a trovarlo all'Università. Quando ero ormai inserito nel corso di studi filosofici, sostenni il suo esame, Antropologia Filosofica. Più che un esame fu una chiacchierata tra amici. Quando vide il mio grosso pacco di fogli con gli appunti di tutte le lezioni dell'anno, si stupì e scherzò dicendo che, chissà, forse un giorno, dopo che sarebbe morto, qualcuno avrebbe scoperto il suo pensiero e fatto diventare famoso.
Nel 1987 quando ormai lavoravo in Rai da qualche anno, mi fu chiesto di realizzare il programma "
Lo Specchio del Cielo": appuntamento settimanale della domenica sera con una sorta di autoritratto segreto di un personaggio importante del mondo della cultura. Per me fu l'occasione di andare a trovare alcuni miei cari e illustri professori universitari, con lo spirito di voler recuperare il vecchio rapporto interrotto, rinnovandolo su un piano di ruoli più paritetici. Non ero più lo studente, ma il professionista.
Mi sentivo cresciuto e mi piaceva confrontarmi con quei vecchi mentori che mi avevano tanto aiutato nel mio percorso di ricerca. Antonini fu uno dei primi che intervistai, poi ricordo fra gli altri
Ida Magli, la mia relatrice di laurea,
Mario Bussagli, grande guida sulla via della seta, alla scoperta dell'arte asiatica;
Elemire Zolla, vero iniziato alla conoscenza esoterica e sapienziale,
Fernanda Pivano, un mito che per chi come me amava la letteratura della Beat Generation;
Namkhai Norbu; che allora era solo un lama tibetano, lettore all'Orientale di Napoli, ma sarebbe poi diventato il famoso fondatore di monasteri, come quello di
Merigar, ad Arcidosso, sul Monte Amiata.
Ho già parlato del
sito web della Rai che sta pubblicando i materiali radiofonici di quegli anni. C'è anche "
Lo specchio del Cielo". Però non capisco la scelta redazionale, da parte di chi gestisce il sito. Hanno tagliato via almeno metà dell'intervista e poi l'hanno associata ad un altra che non ha nessun legame con la prima. Sicché in un unico file di un'ora troviamo due interviste una dopo l'altra, realizzate da due programmisti differenti a due personaggi differenti. Veramente un non-sense per un podcast downloadabile! Visto che non ci sarebbero problemi di spazio o di tempo, perché non offrire il programma integrale, univoco e consultabile con un criterio più intelligente? Sono i misteri dalla grande azienda pachidermica.