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I documentari più importanti che ho realizzato sono quelli che ho anche prodotto. E' accaduto nell'arco di tre anni dal 2003 al 2005, quando si son create le giuste condizioni. Solo nel 2006 poi sono stato scritturato dalla Rai come regista video, cosa che in qualche modo ha ufficializzato il nuovo status professionale dopo quello radiofonico. A quel punto ho potuto fare i conti con una vero e proprio organismo produttivo che non dipendeva dalle mie scelte. Di questa esperienza posso dare due giudizi del tutto personali: uno positivo, l'altro negativo.
Quello positivo è relativo alla constatazione che un prodotto dell'ingegno come quello di un documentario dovrebbe risultare sempre il frutto di un lavoro in team dove ogni elemento ha la sua competenza specifica e la sua importanza. Confrontarsi con certe condizioni che non puoi scegliere tu, ma ti sono imposte dalle circostanze è un modo per imparare ancora di più a specializzarti nel tuo ruolo, ad accettare le esperienze degli altri e sfruttare la sfida di far conciliare le diverse e spesso contrastanti esigenze dell'ambiente in cui ti trovi a lavorare.
E' favorevole in questo senso avere uno spazio concesso ben definito in cui puoi esercitare il tue funzioni creative solo al suo interno, senza poter sconfinare. E' una sfida estremamente prolifica che va a vantaggio della tua maturità professionale. C'è un tema che non hai scelto, con delle finalità di comunicazione che devi rispettare, un budget ben limitato, che caratterizzano la cornice entro cui devi dare il massimo nonostante i compromessi.
L'esperienza negativa è relativa alle condizioni in cui molto spesso si è costretti a lavorare all'interno dell'ambiente Rai in cui quasi tutte le funzioni operative erano ormai esternalizzate a ditte private. A parte quei rari casi in cui hai bisogno al volo di una telecamera e puoi girare tutto il palazzo Rai senza riuscirne a trovare una, normalmente accade che ogni volta che esci a fare delle riprese non sai mai con chi ti troverai a girare. Ogni volta ti capita un troupe differente. Può essere che un giorno ti ritrovi a lavorare con un operatore di macchina estremamente bravo e un altro con uno che a stento sa tenere la telecamera in mano. Stesso discorso per il montaggio. I montatori di volta in volta possono cambiare e ognuno ha il suo proprio stile. Questo, anche all'interno della produzione di uno stesso documentario.
Vien da sé che è impossibile alla fine dare un carattere omogeneo a tutto il lavoro. Pur con tutta la buona volontà di accettare le sfide che ti si presentano, si può arrivare a certe condizioni in cui diventa difficile rispettare i minimi criteri estetici che ti eri imposto all'inizio. E' una specie di catena di montaggio uniformante in cui la personalità professionale, con la tua creatività individuale, viene cancellata a favore di un prodotto aziendale omologato e piatto. So comunque che in altre grandi strutture come Mediaset, la situazione è ancora peggiore. In quella sede la gestione è completamente delegata al sistema dei turni, le persone cambiano a seconda dell'orario e questo vale spesso per il regista, quanto per l'operatore o per il montatore, ecc. Tutto sommato nella mia struttura questo non accadeva ancora.
Insomma per me che arrivavo da esperienze produttive autonome, i cui soggetti e gli elementi umani erano stati scelti da me, lavorare da regista internamente alla Rai non ha prodotto i migliori risultati in assoluto del mio repertorio. Posso comunque dire che la conseguenza finale è stata positiva perché tutto è utile per approfondire l'esperienza.
Un esempio di produzione Rai in cui il mio intervento era limitato alla sola regia, è stato il documentario che aveva per tema proprio la forma documentario, girato nel 2006, di cui ho già accennato qui e che ora è possibile vedere su questa pagina di Pickline.
Un ultima notazione autobiografica: non so se questo blog rappresenta la lapide mortuaria di una carriera conclusa o un biglietto da visita promozionale, in questo momento non sono nelle condizioni di dire cosa accadrà. I progetti non mancano, quelli non mancano mai, ma le circostanze che consentono la sopravvivenza diventano sempre più precarie. Se da una parte credo che realizzerò ancora qualche documentario autoprodotto, non so se questo potrà avere ancora uno sbocco commerciale. Il mio desiderio è di trovare una casa di produzione in grado di poter sostenere le spese generali della realizzazione di un'opera, che si occupi quindi anche degli aspetti distributivi, consentendomi di continuare a fare questo splendido mestiere.
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