L'anno 1527 viene ricordato come uno degli anni più tristi di Roma. Fu quando lo stato della Chiesa si trovò coinvolto nella contesa internazionale tra il Sacro Romano Impero di Carlo V e la Francia di Francesco I, il quale per limitare lo strapotere dell'imperatore si era alleato con Venezia, Firenze ed il papa. Fu questo il contesto politico che determinò la calata delle truppe mercenarie imperiali all'attacco dell'Urbe e delle sue sguarnite difese. Tra i 30.000 soldati di Carlo V, in gran parte luterani, c'erano oltre 14.000 lanzichenecchi, che avevano avuto la promessa di essere ripagati grazie al libero e dissennato saccheggio della città. Fu un episodio assai cruento, che si protrasse per oltre otto mesi, distruggendo i palazzi più ricchi, incendiando case e monasteri, violentando le donne, decimando la popolazione di oltre la metà.
E' questo l'episodio centrale della X puntata de "Alle porte del Paradiso: storia di pellegrini e di giubilei", quella dedicata al giubileo del 1550. Ero alla fine degli anni '90, nel '97 per la precisione, e già si cominciava a parlare insistentemente su giornali, televisione e radio del prossimo grande giubileo dell'anno duemila. Era tutto un pullulare di preparazioni, progetti a programmi a vario livello. Ricordo che l'atmosfera era molto particolare: con la morte ufficiale dell'utopia comunista, dopo il crollo dell'Unione Sovietica, era come se il cattolicesimo romano fosse ormai il principale beneficiario del vuoto ideologico creatosi. Tutti i commentatori e gli intellettuali che giravano in Rai si prodigavano, presso qualunque sede si trovassero, in genuflessioni e lodi sperticate alla straordinaria durata del potere della Chiesa.
A RadioUno, dedicata all'informazione giornalistica, alcune fasce orarie del palinsesto di trasmissione rimanevano ancora appannaggio dei programmi della rete, quindi svincolate dall'intervento diretto dei giornalisti e realizzate dai curatori interni, dai programmisti-registi e dagli autori esterni. C'era comunque Gianfranco Svidercoschi, stimato giornalista cattolico, amico personale di papa Wojtila, che aveva un influente rapporto di consulenza generale su tutti i temi legati alla presentazione del giubileo. Credo fu sua l'idea di dedicare un programma alla millenaria storia dei giubilei, a partire dal primo, quello del 1300 indetto da Bonifacio VIII, il protagonista del famoso schiaffo di Anagni, fino a quello del 1950: in tutto ventiquattro puntate di mezz'ora a cadenza settimanale, in onda il sabato alle ore 13.00, tra un giornale radio e l'altro.
Quando Daniela Recine, capostruttura di RadioRai, mi propose di fare la regia del programma, mi disse che aveva pensato a me per la fantasia che avevo sempre dimostrato nel lavoro e per il mio interesse per le questioni spirituali. Mi chiese di creare un formato non troppo pesante, che potesse essere serio e approfondito ma non pedante e prosaico. Dovevo inoltre considerare le limitate risorse economiche che ci condizionavano, per cui non si prevedevano interviste a storici, né inserti radiofonici o cinematografici, perché questi avrebbero richiesto il lavoro di almeno un paio di persone in redazione, né potevo avvalermi di molti attori, che potevano essere al massimo due. Insomma per realizzare il programma ci sarebbe stato solo un autore per le ricerche storiche, compito affidato a Francesco Petrone, una curatrice per le questioni amministrative, Flavia Pesetti, e il sottoscritto, il regista. Turni di studio disponibili: due per ogni puntata, di quattro ore l'uno.
Dunque, dopo attento esame delle condizioni, sulla scorta dei testi dell'autore relativi alla prima puntata, cominciai a studiare il modus operandi più opportuno. Pensai di far appello ad una struttura con quattro livelli gerarchici di narrazione che denotavano altrettanti stili peculiari di recitazione:
1. il livello culturale relativo al periodo storico in generale;
2. il livello della narrazione storica costituita dai nomi, luoghi e date particolari;
3. il livello della cronaca ambientale immediata di eventi e accadimenti precisi;
4. il livello della rievocazione con dialoghi e recitazione.
Rappresentavano, queste, quattro linee parallele di racconto, caratterizzate ognuna sempre dalle stesse voci e l'accompagnamento di musiche e sonorizzazioni adeguate. I due attori assegnatimi, che erano i fratelli Piero e Rodolfo Baldini, due bravi e generosi caratteristi, si occupavano del quarto livello, quello della rievocazione recitata di dialoghi, poesie e brani letterari. Gli altri tre livelli, in mancanza di altri attori, pensai di assegnarli agli annunciatori interni in servizio allora presso RadioRai, che, essendo stipendiati, non comportavano spese economiche ulteriori.
In questo modo, passando continuamente da un livello all'altro, da un ambientazione enfatica ad una più quotidiana, da un racconto prosaico ad una rievocazione recitata, tutti siparietti molto brevi, legati dalla consecutio del racconto e da saggi missaggi musicali e sonori, i trenta minuti del programma scorrevano come l'acqua e l'ascolto si rivelava sempre molto coinvolgente a piacevole.
La sigla iniziale del programma l'avevo composta mettendo insieme diverse fonti: si apriva con le famose campane di San Pietro, usate anche dalla Radio Vaticana, poi riprendeva l'audio dell'apertura della porta santa operata da papa Pio XII nel 1950 e si concludeva con un brano dei Dead Can Dance, duo musicale anglo-australiano, da me molto amato, i cui "paesaggi sonori di incommensurabile grandezza e solenne bellezza, ripercorrevano percussioni africane, folk celtico, canti gregoriani, mantra mediorientali e art rock" (wikipedia). La sigla finale era semplicemente la riproposizione di "Slug" del progetto "Passengers" composto dagli U2 e Brian Eno, un brano descrittivo moderno dal respiro ampio e metastorico per me molto affascinante.
Subito dopo la prima puntata Svidercoschi venne a trovarmi per complimentarsi direttamente con me. Era entusiasta. Il programma funzionava benissimo e, anche se usciva nettamente dai canoni stilistici di un canale all-news, si riusciva ad attirare agevolmente l'attenzione dell'ascoltatore, dando oltre all'informazione storica anche tutta la suggestione adatta al tipo di comunicazione che si voleva offrire.
Da parte mia, venivo da anni di esperienza in equipe per i programmi in diretta come il 3131, dove la musica e le ricostruzioni ambientali erano gli elementi che mi divertivano maggiormente, ma che erano sempre stati limitati ai pochi e limitati servizi registrati. Qui invece costituivano l'essenza dell'intero programma. Inoltre era qualcosa di nuovo per me lavorare con tempi e modi in totale autonomia e libertà. La settimana dedicata alla preparazione del programma trascorreva fluidamente secondo un piano costante ed efficiente:
- lunedì: adattamento radiofonico del testo;
- martedì: reperimento delle musiche e delle sonorizzazioni presso la favolosa e ricca discoteca di RadioRai;
- mercoledì: registrazione in studio delle voci (era la parte più impegnativa, vista la breve durata del turno);
- giovedì: taglio e montaggio delle voci, che realizzavo personalmente su uno Studer verticale col nastro da mezzo pollice che avevo nella mia stanza;
- venerdì: riversamento e missaggio finale in studio. Voglio ricordare il bravo e solerte Alfredo Guerrieri, il tecnico che aveva preso a cuore il programma, gran parlatore con cui facevo ogni volta delle belle chiacchierate.
La sera del venerdì la bobina master era pronta per l'archiviazione e la messa in onda del giorno dopo.
Nessun commento:
Posta un commento